INDEBITAMENTO ECCESSIVO, DISAGIO IN FAMIGLIA E NEL LAVORO E LA MATRICE GIOCO D’AZZARDO. COME PREVENIRE Maurizio Fiasco Aggiornamento (5 aprile 2020) della Relazione al Convegno “Luoghi di lavoro che promuovono salute” della Rete WHP Lombardia Milano, Auditorium Gio Ponti ASSOLOMBARDA (19 gennaio 2020) Una doverosa premessa Il presente elaborato delinea lo scenario qual si presentava prima dello shock, tuttora incalcolabile, della pandemia per il covid-19. Sia le misure da emergenza nazionale (qual formalmente è stata dichiarata) e sia l’insieme dei comportamenti sociali ed economici correlati (nel presente e nel futuro medio-lungo) costringono ora a concepire un modello analitico decisamente differente. Nei mercati di concorrenza della globalizzazione, se non fosse stato per la spaventosa sofferenza sanitaria, si sarebbe profilato il modello della Disruptive Innovation, almeno da parte delle imprese più evolute e dotate di management con visioni prospettiche. Ma oggi davvero è una necessità generale, quella di una Innovazione dirompente nello scenario che già sconvolge l’Italia, per la condizione dell’economia, delle persone e delle amministrazioni pubbliche. Cambiare per sopravvivere. Nelle espressioni quotidiane: far di necessità virtù. Ovvero sforzarsi di modificare il punto di vista su temi e pratiche che ben conoscevamo. Ciascuno nella postazione che occupava, in ragione delle tematiche d’impegno. Dal 4 di marzo non possiamo infatti affidarci a quanto sapevamo e sapevamo fare, possibilmente bene, nella lunga crisi del dopo 2008, quella che tentavamo di lasciarci alle spalle. Abbiamo provato a inquadrare la dimensione sociale e psicologica dello stato di debito inestinguibile delle persone, delle famiglie e delle unità produttive dove si confonde il patrimonio privato essenziale con quello dell’azienda. Cosa possiamo conservare adesso del nostro background scientifico e esperenziale? E se ci attardiamo a voler conservare le visioni spazzate via, non rischiamo di sbagliare? Disruptive Innovation. Tante volte le parole degli strateghi d’impresa hanno un fascino, ma non un seguito di studio approfondito. E se ne fa un uso a mo’ di pinze per afferrare qualcosa della realtà che sta cambiando, ma ancora non siamo in grado di interpretare. Come appunto in questi mesi di emergenza, di sconcerto, di ricerca di volontà e di misure pratiche per salvare il Paese dalla tragedia della pandemia. Per chi scrive, quel che sta percependo ora si abbatte come un ciclone sul patrimonio scientifico, su quell’insieme di acquisizioni teoriche, di concetti operativi di ricerca, di convinzioni maturate in quasi trent’anni di riflessione sul tema sociale del debito per le famiglie, per le imprese, per i sistemi istituzionali. Costretti a passare dallo sforzo interpretativo di un fenomeno (l’esclusione sociale per debiti) certamente di massa, ma tuttavia dentro un sistema Italia che lavorava alla crescita, allo shock cognitivo e scientifico davanti alla catastrofe nazionale e internazionale – così pervasiva anche nella sfera quotidiana, intima delle singole persone – ci sentiamo di nuovo precipitare nell’ignoranza, nella privazione di un arsenale di strumenti interpretativi ai fini di una pragmatica. Ci scusiamo per questo cenno biografico: l’asse esistenziale della ricerca sulle tematiche che si è scelto si basa nell’approfondire sempre in vista di possibili soluzioni, o solo suggerimenti. Dunque, per dirla con Tommaso Campanella, “stavamo tutti al buio”. L’idea di Disruptive Innovation ci sembra allora un richiamo al rigore etico-teorico a sottoporre a vaglio severo il patrimonio di conoscenze e di metodologie con le quali si è operato sinora. Il quesito lo si può formulare dapprima in modo semplice (non di meno assillante): la prospettiva di insolvenza grave cronicizzata che accomunerà per un lungo periodo le famiglie, le imprese e lo Stato mentre tutto il flusso di redditi (o di entrate nel caso della Pubblica amministrazione) subisce un taglio dalla percentuale “a due cifre”. E tutto questo mentre mancava già un bel tratto da compiere per rientrare dalla recessione del 2008-2009 e del 2012-2013. In questa relazione si mantiene sullo sfondo il quesito assillante dell’oggi, per compiere il primo passo per ragionevolmente cominciarsi a orientare: il riesame della situazione quo antea, ovvero come si presentava il quadro con gli ultimi dati disponibili. E ci si chiedeva, in vista del convegno del 19 febbraio 2020, a 48 ore della decretazione della “zona rossa”, come agire concretamente per alleviare, con misure di welfare aziendale e in collaborazione con l’assieme dei servizi sociosanitari, la sofferenza delle famiglie dei dipendenti delle imprese che si pongono, con visione illuminata, il problema del benessere delle persone nell’azienda-comunità. Il profilo di una Grande Crisi In ogni grande crisi si presenta storicamente la necessità di provvedere a tre “pilastri”: 1. Risanamento dei conti pubblici (fronteggiare la crisi fiscale dello Stato) perché la Pubblica Amministrazione possa contrarre debiti a tassi più contenuti (riducendo e se possibile annullando lo spread dei titoli di Stato); 2. Ristrutturazione e rilancio dei settori direttamente produttivi, cioè creatori di valore economico reale bell’industria, nell’artigianato, nell’agricoltura, nel commercio; 3. Trattamento appropriato di un esteso campo di sovraindebitamento delle famiglie Il “terzo pilastro” richiede di esser considerato nella duplice valenza: è un asse del sistema di sicurezza sociale; è una condizione necessaria per centrare gli stessi obiettivi 1 e 2. Il sovraindebitamento famigliare comporta – in Europa, dove esiste il riconoscimento dal secondo Novecento dei “diritti di sicurezza sociale” – aumenti enormi delle spese di welfare; e parallelamente distruzione di forze produttive. La dissipazione di capacità lavorative, unita all’abbassamento della capacità media delle forze di lavoro impiegate, provoca il ristagno della domanda di beni e di servizi, cioè di quelle scelte nei consumi privati che invece fungono da moltiplicatore positivo del business cycle. Un altro quesito s’impone: quanto influisce sull’ulteriore incremento del deficit pubblico? Nel leggere il dato, recente, sull’aumento della spesa sanitaria, c’è da chiedersi quale peso può avervi apportato la diminuzione delle capacità di auto assistenza delle famiglie. E che dire dell’incidenza delle patologie correlate alla crisi? Si pensi, a esempio, all’aumento del ricorso alla degenza ospedaliera degli anziani non autosufficienti e dei malati cronici: non assistiti a casa per la riduzione del reddito famigliare contemporaneo ai tagli all’assistenza decentrata, che rende sempre più arduo poter accedere alle prestazioni domiciliari. Anche l’incidentalità legata alle condizioni di lavoro può risultare correlata alla condizione di disagio per la spirale di debito irrisolvibile. Le dipendenze cronicizzate (da stupefacenti, da alcol, da gioco d’azzardo) aggiungono una stabilizzazione patologica alla famiglia in deficit di bilancio economico. Trattare il sovraindebitamento delle famiglie è dunque motivo tanto per assolvere a un dovere costituzionale di solidarietà sociale, quanto per progettare la fuoriuscita dall’attuale Grande Crisi. A dodici anni dalla tempesta della crisi finanziaria del 2008, era aumentato il numero delle famiglie con uno sbilancio tra entrate correnti e spese. Una frazione di tali nuclei si presentava già tecnicamente come sovraindebitata1 alla vigilia dell’emergenza nazionale e mondiale “coronavirus”. Il quesito presente riguardava per l’appunto l’ estensione che aveva raggiunto il campo di quelle a rischio reale di chiedere e ottenere denaro in prestito a usura. Com’è ragionevole pensare anche oggi, tale condizione si distribuisce in misura e con caratteristiche differenziate nelle regioni. 1 Tecnicamente, s’intende, in base al profilo legale e all’inquadramento bancario. Metodologia e fonti La risposta ai quesiti generali si era tentata utilizzando due approcci quantitativi e a supporto di un modello qualitativo d’interpretazione. Da un lato si era messo a punto un sistema di 22 indicatori statistici (di varie fonti ufficiali, ISTAT, amministrazioni governative, Camere di Commercio); dall’altro lato si sono selezionate le variabili sul sovraindebitamento delle famiglie, con dati da estrarre dal database delle indagini periodiche della Banca d’Italia. INDICATORI OGGETTIVI E RANKING La Ricerca su dati ufficiali si basa su indicatori suddivisi in quattro macro-livelli: - Finanziari - Sociali - Economici - Criminologici Dall'insieme degli indicatori e dal bilanciamento delle variabili, si perviene a una rappresentazione del fenomeno che, nel percorso interno della ricerca, documenta la condizione di tre ambiti della popolazione italiana: le famiglie consumatrici, le famiglie produttrici e le imprese strutturate. Lo scopo è quello di mettere a disposizione, ancora una volta, delle conoscenze oggettive che valgano a verificare la fondatezza di scelte istituzionali e sociali. La metodologia ha mostrato un’indubbia utilità nel consentire approdi di conoscenza, più volte verificati. Si può, dunque, riproporre la sequenza operativa. Il lavoro condotto con la seguente tecnica – dati, indicatori nel loro complesso, coordinati e correlati in un quadro statistico “per quattro indici” – mette in luce il “potenziale di rischio” (indebitamento patologico e usura)del territorio e ne evidenzia – per macroaree – i soggetti d’impresa più esposti. Dalla ricerca scaturisce, così, un output strutturato in quattro grandi “dimensioni” del ranking: a) Indice di esposizione finanziaria: composto da un insieme di indicatori finanziari, alcuni dei quali correlati positivamente (ad esempio, l’ampiezza del credito ufficiale accordato) ed altri associati negativamente (sofferenze); b) Indice di sostenibilità sociale: costruito con dati di indicatori sociali nella maggior parte associati positivamente con la “tenuta” del territorio economico al razionamento finanziario che confluisce nell’usura; c) Indice di esposizione economica: composto da un insieme di indicatori economici che documentano l’esposizione al rischio direttamente (fallimenti, protesti), o indirettamente per regolarità-continuità di reddito, o opportunità di reddito; d) Indice criminologico di usura: composto da indicatori di delittuosità associati negativamente con l’esposizione al rischio di usura e a forme irregolari di credito/finanziamento. A valori più elevati corrisponderà una minore qualità e solidità del tessuto economico di fronte ai fenomeni considerati. Dalla combinazione dei quattro indici si perviene a una rappresentazione empirica d’insieme (riassunta nel ranking finale) delle anomalie di un contesto economico, con riferimento all’esposizione al fenomeno della compravendita irregolare/illegale del denaro. Lombardia Da tale patrimonio informativo si sono prese le mosse per due elaborazioni riguardanti le province di Milano e di Lodi e la regione Lombardia. Con gli indicatori oggettivi si è potuti scendere alla disaggregazione minima provinciale, mentre riorganizzando la base di dati dell’Indagine Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie si è potuto stimare il fenomeno del sovraindebitamento sull’aggregato regionale. Sintesi generale degli indicatori nelle province lombarde Provincia Rk nel rischio usura Indicatori criminologici Indicatori finanziari Indicatori sociali Indicatori economici Peso=1000 Rank Milano 2 372 913 854 852 903 Lecco 7 488 648 843 776 831 Bergamo 11 378 622 836 779 789 Monza e Brianza 13 403 646 816 736 785 Varese 16 449 606 791 741 780 Brescia 18 335 656 816 765 776 Como 27 351 633 789 722 753 Sondrio 30 407 601 784 694 750 Lodi 31 491 540 748 708 750 Mantova 32 370 609 786 718 749 Cremona 36 357 601 752 751 742 Pavia 40 528 455 751 689 731 FAMIGLIE E SOVRAINDEBITAMENTO Con la seconda fonte, le nostre ricerche ci avevano permesso di stimare una numerosità statistica dell’universo delle famiglie implicate, fino a determinare le fasce d’importo monetario che sottendono il fallimento del bilancio delle persone: per individuare se e come tale drammatica condizione possa essere fronteggiata, con risorse che in ipotesi si rivelerebbero non iperboliche. Inoltre ci interessava calcolare, per contro, quanto fosse ampia l’area delle famiglie collocate appena sotto la soglia del default. Insomma, quanti casi includesse di fallimento economico la casistica dell’universo dei quasi 26 milioni nuclei familiari residenti nel 2016 (mentre nel 2006 risultavano essere 23 milioni e 420 mila). Per quali fasce d’importo si distribuisce questa popolazione? E come si estende – e di nuovo con quali differenziati margini di passività – l’area delle famiglie a rischio prossimo di sovraindebitamento? Ventiquattro anni circa dall’entrata in vigore della legge 7 marzo 1996, n. 108 (“Nuove norme contro l’usura”) alla quale sono seguite delle modificazioni con la legge 27 gennaio 2012, n. 3 (che indica procedure per le “crisi da sovraindebitamento”) si era tentato di pervenire a una radiografia oggettiva, senza attendere – perché ancora non disponibile – un archivio istituzionale, cioè di registri di giustizia, che fosse basato sul rilevamento puntuale del fenomeno. Non di meno era (ed è) possibile condurre delle stime, che di anno in anno, di edizione in edizione, si arricchiscono di variabili e di descrizioni. Sono analisi derivate da database e iniziative incentrate su aspetti contigui ai fenomeni appena richiamati. Lavorando su tali materiali emerge comunque un andamento, un evolvere delle difficoltà delle famiglie che tuttavia lascia comprendere la possibilità di un trattamento positivo, se si adotteranno misure con lungimiranza. IL DATO NAZIONALE Lavorando sui file elementari del data base del più autorevole ente – la Banca d’Italia che continua a produrre un accurato rapporto periodico sui bilanci delle famiglie – abbiamo ricavato che tra il 1° gennaio 2007 e la corrispondente data 2017 il numero stimabile delle famiglie “tecnicamente” in sovraindebitamento erano passate da 1.276.642 a 1.959.433, con un incremento di 682.791 casi. Il che significa una variazione attiva di 53,5 punti percentuali. Cifra relativa che potrebbe essere ancora maggiore se si rammentasse che in 10 anni in Italia in numero delle famiglie residenti è arrivato a circa 26 milioni (25.937.723) dalle 23.420.000 originarie. In dieci anni, come già accennato, si è incrementato del 53,5 per cento il numero delle famiglie che si considerano sovraindebitate il senso tecnico. La ricostruzione del raffronto tra i due anni così distanti ha portato a ricavare le seguenti variazioni Tav. 1 SIND02 - Sovraindebitamento Anno 2006 2016 Variazione Variazione % Famiglie Campione 7769 7422 N° Sovraindebitamento (RI < 0) 423 561 Sovraindebitamento % (RI < 0) 5,5% 7,6% 2,1% 38,6% Totale Italia 23.420.000 25.937.723 2.517.723 10,8% Proiezione Italia Sovraindebitamento (RI < 0) 1.276.642 1.959.433 682.791 53,5% Come si legge la tavola. RI sta per “Riserva economica”, ovvero il margine che si presenta nella disponibilità della famiglia. Può essere positivo, ovviamente, quando la Riserva RI è superiore a zero euro. Come si forma la riserva? Con la combinazione delle seguenti variabili: dalla somma algebrica delle “Attività Reali A” con “Attività Finanziarie AF” e con “Reddito Disponibile RD”, meno “Consumi CO” e meno “Passività Finanziarie PF”. Dunque, sinteticamente: RI = AF + AR + RD – CO – PF La RI che sarà l’oggetto principale dell’analisi utilizzando come valore discriminatorio lo zero. La RI-Riserva Economica media è diminuita del 13% dal 2006 al 2016. Vediamola in termini monetari nominali (cioè non rivalutati ai prezzi 2016) Tav. 2 SIND01 - Riserva Economica delle famiglie in Euro per singola unità Media 2006 Media 2016 Variazione Variazione % Reddito disponibile netto (RD) 31.893 30.488 - 1.405 -4,4% Consumi (CO) 23.648 23.012 - 636 -2,7% Passività finanziarie (PF) 9.640 7.149 - 2.492 -25,8% Attività reali (AR) 233.890 195.377 - 38.513 -16,5% Attività finanziarie (AF) 27.971 30.809 2.837 10,1% Riserva RI = AF+AR+RD-CO-PF 260.466 226.513 - 33.953 -13,0% Cosa ci dice, in chiara sintesi questa tavola: a) Che le famiglie hanno ricevuto un taglio netto al proprio reddito e hanno ridotto sensibilmente i loro consumi (di 2,7 punti percentuali; b) Che hanno subito un deficit tra entrate e uscite notevole (di 25,8 punti) c) Che hanno avuto un taglio netto alla loro ricchezza (Attività Reali) di 16,5 punti d) Che hanno parzialmente compensato con un incremento sensibile di Attività Finanziarie. Il dato di bilancio aggregato ci dice che la ricchezza nominale delle famiglie in 10 anni è passata da un valore monetario medio di 260 mila Euro a 226 mila e 500, con una perdita secca di 13 punti. IL DATO LOMBARDO Tav. SIND02 - Sovraindebitamento Lombardia 2006 2016 Variazione Variazione % Famiglie Campione 1289 979 N° Sovraindebitamento (RI < 0) 43 56 Sovraindebitamento % (RI < 0) 3,3% 5,7% 2,4% 70,7% Totale Lombardia 3.914.000 4.439.434 525.434 13,4% Proiezione Sovraindebitamento Lombardia (RI < 0) 130.193 252.088 121.895 93,6% La quantità complessiva delle famiglie non rispecchia tanto la crescita generale della popolazione presente in Lombardia (come in tutte le regioni d’Italia), a distanza di dieci anni dalla rilevazione precedente, quanto piuttosto il suo progressivo suddividersi in unità più piccole per numero di componenti (condizione vedovile o di single, separazioni ecc.). Particolare importante, perché denota anche la riduzione delle economie di scala della spesa per consumi di base, e conseguentemente il lievitare dei costi per la vita quotidiana. IL PROFILO DI UNA CONDIZIONE DI MASSA 1. Cosa intendere per sovraindebitamento, in senso reale oltre che formale La legge n. 3 del 2012 codifica una formale, e perciò arida e riduttiva definizione: il sovraindebitamento è il “perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte dal debitore ed il suo patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni”; ovvero la “definitiva incapacità ad adempierle regolarmente”. Dietro le formulazioni astratte che operano, come sempre, il distanziamento semantico, la “crisi da sovraindebitamento” dei soggetti che la legge considera “non fallibili” è concretamente una condizione drammatica che ha il suo centro di acuto disagio nella famiglia, anche laddove la situazione di perdurante squilibrio tra le entrate correnti e le uscite correnti sia incentrata su un’attività economica e non esclusivamente sulle scelte compiute dal “soggetto consumatore”. Se si intende utilizzare dunque, con l’atteso giovamento, le chance contenute nella legge 3 del 2012 occorre un approccio attivo e multidisciplinare, e non meramente “proceduralista”. La crisi da sovraindebitamento trova una speranza di essere risolta, con le minori sofferenze famigliari e sociali possibili, se e in quanto si dispieghi un sostegno diversificato e personalizzato per ricomporre la condizione cronicizzata (il debito) e per far conseguire alla famiglia e alla “microimpresa” non fallibile un nuovo equilibrio e una nuova capacità di affrontare con competenza la gestione del budget. Il sovraindebitamento, che è dunque un problema complesso “non semplificabile”, va affrontato con un intervento razionale e coordinato sull’intero sistema, sia esso costituito tanto da una famiglia quanto da una impresa che non può accedere alle procedure concorsuali del fallimento. Si tratta, in sintesi, di saper utilizzare leve e modalità diverse e adattate alle diverse situazioni. In tal senso le “composizioni” del debito e altri interventi di aiuto potranno risultare efficaci se operano per il ripristino di una vita sufficientemente serena, progettualmente attiva, per pervenire a ritrovare una condizione di autonomia economica, sventando il pericolo del precipitare in uno stato di soggetto destinatario di mera assistenza (peraltro difficilmente sostenibile nel nostro welfare). Allora, se ci si propone un obiettivo di affrancamento, occorre una concettualizzazione dinamica e più fattuale, per comprendere almeno i profili umani e sociali di una condizione. 2. Dinamiche e distinti profili del sovraindebitamento. In due decenni, tra il 1992 e il 2012, si sono modificati radicalmente i rapporti tra le famiglie e lo Stato. Dapprima, quando nell’estate del 1992, l’amministrazione pubblica ha sfiorato il default, si dovette percorrere in Italia l’itinerario già avvenuto in altri paesi appena terminata la ricostruzione postbellica negli anni Sessanta, quando la maggior parte avevano affrontato in modo drastico la crisi fiscale dello stato, dovuta all’intollerabilità del debito pubblico, provocata dai costi del welfare o delle spese militari. Con politiche di rientro “a tappe forzate” (dopo gli accordi di Maastricht), venne generato, o esasperato, un fenomeno, che però riguardava anche i lavoratori dipendenti e non solo i ceti medi: il sovraindebitamento. Solitamente usata nelle diagnosi sulla “salute” delle imprese, la dizione “sovraindebitamento” aveva cominciato a correre verso la fine degli anni Novanta anche per le famiglie. Con esso si evoca (di là della codificazione normativa) una condizione cronica e patologica, quando la spesa in fieri famigliare sia superiore al livello del reddito corrente, pure integrato dalla liquidazione di quote del patrimonio familiare. Finalmente, dal gennaio dell’anno 2012 almeno lo Stato ha deliberato che il fenomeno richiede un riconoscimento istituzionale, premessa (tuttora non accompagnata da misure concrete di politica pubblica) Si cade, insomma, nell’handicap di sovraindebitati quando né i redditi da lavoro, né le rendite, né le somme ottenibili, alienando quote limitate di beni di famiglia (mobili e immobili), consentono di conseguire un pareggio del bilancio familiare in un tempo “gestibile”. Con spesa “in fieri” si vuole intendere che le proporzioni dello sbilancio tendono ad aumentare, per il peso crescente degli interessi sul debito. In questa condizione cronica e patologica si possono delineare tre profili, che corrispondono alla gamma delle cause scatenanti: sovraindebitamento “attivo” (vale a dire provocato da scelte autonome e non costrittive di chi contrae debito); sovraindebitamento “passivo” (quando si è obbligati a ricorrere ad un prestito “di sussistenza”); sovraindebitamento “differito” (un mix tra il primo e il secondo, poiché il “pareggio” attuale sarà inevitabilmente compromesso in futuro2). 2 Per questa definizione e per le dimensioni quantitative del sovraindebitamento delle famiglie, si rimanda a Maurizio Fiasco, Profili e dimensioni del sovraindebitamento in Italia, per Adiconsum e CNCU, Milano luglio 2001, e a Famiglia, usura e sovraindebitamento (dello stesso autore), Consulta Nazionale Antiusura, Roma, aprile 2002. 3 Luisa Anderloni, Il sovraindebitamento in Italia ed in Europa, relazione tenuta al Forum "Analisi del sovraindebitamento. Gestione e prevenzione", Potenza, 26 aprile 1999. 4 ISTAT Report, Anni 2012-2015. L’economia non osservata nei conti nazionali, ottobre 2017. Secondo l'ultima stima dell'Istituto, nel 2015 le unità di lavoro irregolari risultavano 3 milioni 724 mila, soprattutto dipendenti (2 milioni 651 mila) e in crescita sull'anno precedente di 57 mila unità. Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle unità di lavoro non regolari sul totale, è pari al 2.1 Il sovraindebitamento “attivo” o attivamente procurato dal soggetto 2.2 Il sovraindebitamento “passivo” o subìto senza responsabilità personale La distinzione fra sovraindebitamento “attivo” e sovraindebitamento “passivo” induce a correlare la propensione alla spesa con la percezione del reddito atteso. Il potenziale di sovraindebitamento “attivo” prevale nell’ambiente dei ceti medi economici o delle professioni, e solo in misura residuale in quello dei lavoratori dipendenti. Nella congiuntura economica italiana – dove si è verificata la perversa sinergia di inasprimento fiscale, stretta creditizia e crollo della fiducia dei consumatori (con il corollario dell’espulsione delle imprese familiari dal mercato) – si è dispersa la memoria storica dei precedenti analoghi (ad esempio quello dei primi anni Sessanta). Si è così ripetuta un’elevata propensione alla spesa personale (per consumi e/o investimenti) in una platea di “famiglie produttrici”, cioè quella massa di microaziende caratteristica del nostro paese. Le stesse famiglie hanno coltivato, dall’altro lato, l’illusoria fiducia nelle loro capacità reddituali future. Di qui quella sottostima della “reale portata degli impegni assunti (per entità e scadenze)” o la sopravvalutazione implicita della “disponibilità nel tempo dei flussi di entrata”3. Il “sovraindebitamento passivo”, invece, è largamente figlio della insicurezza sociale, dei dualismi economici (anche tra nord e sud del paese) ed è stato potenziato dalla larga diffusione di occupazioni atipiche e dalla “flessibilità” nel rapporto d’impiego. Il fenomeno prevale in settori del lavoro dipendente e in famiglie che si trovano border line con lo stato di povertà, o che si sono ormai cronicizzate in una condizione al disotto della soglia convenzionale di povertà (ISPL). Tra queste devono essere incluse le situazioni di usura, che dunque formano un sottoinsieme molto significativo delle famiglie sovraindebitate. Si tratta di casi dove è venuta meno la fonte di reddito. In questi casi si può notare la ricorrenza di un fenomeno arcaico, quello del “prestito di sussistenza”, che è stato messo in luce, nelle sue configurazioni più esasperate, con l’iniziativa di solidarietà delle Fondazioni cattoliche e delle associazioni laiche antiusura. Accanto ai casi di perdita del posto di lavoro, vi è da considerare lo stato di precarietà dell’accesso al reddito di parti notevoli di forze lavoro occupate nel “sommerso”. Tale dimensione comporta l’anomala frequenza di casi d’interruzione o riduzione di reddito, oltre a determinare lo stato endemico d’indebitamento usurario4. 15,9% (+0,2 punti rispetto al 2014) e tocca il 47,6% nei servizi alla persona. Risulta inoltre "molto significativo" in agricoltura (17,9%), nelle costruzioni (16,9%) e nei settori commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (16,7%). 5 Elizabeth Warren e Amelia Warren Tyagi, Ceti medi in trappola, edizione italiana di The Two-Income Trap, a cura di Maurizio Fiasco, Sapere 2000 Edizioni, Roma 2004, pp. 81 e segg. 2.3 Il sovraindebitamento “a prospettiva differita” e a “flessibilità”, come modalità passiva Tra le famiglie sovraindebitate vanno dunque indicate, come abbiamo già precisato, quelle che comunemente (Cerved, ISTAT, Banca d’Italia) sono dette “famiglie produttrici”. Per le dimensioni e le caratteristiche, le imprese familiari risultano da un lato sotto patrimonializzate (poiché i beni del nucleo familiare coincidono per lo più con quelli dell’azienda) e in misura più o meno rilevante sono generatrici di un reddito in nero, spesso con evasione fiscale e contributiva di mera sussistenza. Ve ne sono altre che tuttavia potrebbero affrancarsi da quella dimensione al limite della economicità di gestione, per configurarsi più spiccatamente come “impresa matura”. Simmetricamente, invece, altre sono passate da una condizione di regolarità a connotati prevalenti di “sommerso”: imprese “grigie”, il cui numero è cresciuto per effetto dell’aumento del costo del lavoro, della maggiore pressione fiscale, della accentuata concorrenza internazionale, nonché del consolidamento di alcune imprese già completamente sommerse. L’impresa grigia, è il risultato tanto di un “riassestamento”, quanto di un percorso di maturazione e di consolidamento da parte di imprese dapprima completamente clandestine. Il passaggio dal “nero” al “grigio” porta l’imprenditore a sovrastimare le proprie chance, poiché egli in apparenza è un operatore che dispone di vantaggi competitivi rispetto ai suoi concorrenti, sottoposti completamente ai vincoli legali e contrattuali. Oltre alla scelta attiva di consumare di più, prima che avvenga l’incameramento di un reddito atteso, e oltre alla condizione passiva di cercare prestito per integrare quel reddito, che manca per i consumi primari, come si è accennato, vi è un terzo profilo, il sovraindebitamento differito, che si aggiunge ai due precedenti. Esso riguarda due tipi di nuclei, che varie indagini sia sulle famiglie che sugli anziani mostrano come stiano sempre più caratterizzando l’Italia. Si tratta di famiglie dove la permanenza dei figli avviene anche oltre il compimento dei trenta anni (per varie cause, a cominciare dall’esclusione dei giovani dal lavoro) e dove si assiste alla tendenza a tornare nella famiglia d’origine dopo lo scioglimento della famiglia formata (separazioni e divorzi). Un altro tipo di famiglia “a sovraindebitamento differito” è quella il cui livello di consumo si discosta da quanto possibile con i soli redditi da lavoro dipendente o autonomo (eventualmente integrati da rendite patrimoniali o finanziare), grazie al contributo della pensione dell’anziano convivente. La sussidiarietà in ambito familiare – che le Warren5 indicano in America esser esercitata dalla madre lavoratrice – in Italia è svolta dall’anziano pensionato convivente. In entrambi i casi, la famiglia – pur non versando in condizioni di indebitamento insostenibile – si evolve verso un’area di forte rischio, poiché assume comportamenti di consumo e impegni (mutui casa e prestiti personali) ben oltre la proporzione che sarebbe consentita dal reddito corrente dei soli occupati del nucleo convivente. Per dirla più direttamente, la decisione di indebitarsi non è sostenuta dalle capacità reddituali dei giovani (destinate, da un punto di vista logico, ad estendersi e quindi a rendere meno oneroso il rientro dal debito), bensì dalla integrazione di reddito degli anziani (la cui disponibilità è transitoria, non destinata a rinnovarsi e tanto meno a dilatarsi). Infatti, nel caso della presenza di un elemento anziano apportatore di reddito, gli alti consumi dei membri della famiglia “ospitante”, potranno essere coperti solo fino a quando esisterà tale aiuto. L’aspetto di “sovraindebitamento differito” sta proprio in tale scarto: da un lato vi è il ritardo nell’accesso al reddito da lavoro per i giovani; dall’altro lato si ricava un margine di consumo grazie alle economie di scala che la convivenza permette; infine vi sono gli impegni assunti a fronte di un futuro nel quale tali flussi “integrati” di reddito nella famiglia si ridurranno inevitabilmente. La mancanza del turn over dei fattori sopraindicati genererà un “blocco”, e quindi, di riflesso, un dislivello tra entrate scarse e uscite sovradimensionate. Tutto questo subisce una forte accelerazione grazie al corso di politica previdenziale che sul finire degli anni Dieci del XXI secolo combina drastici “tagli” alla spesa previdenziale con il procrastinare nettamente il tempo dell’ingresso degli occupati nella condizione di pensionati. 3. Rilievo della fragilità e della sofferenza delle famiglie per i debiti. Non è certamente un tema minore: come la Grande Crisi finanziaria e di sovrapproduzione, venuta in evidenza nell’estate del 2008 e finora affrontata con misure dal non compiuto disegno strategico, rovescia le sue conseguenze sulla progettualità della famiglia, sulla vita quotidiana e sui dilemmi che deve affrontare la “cellula” elementare della società. L’operazione preliminare – se si concorda nel dare rilevanza generale a questa “terza dimensione” della Grande Crisi – è quella di ammettere un nesso, e quale nesso, che si può cogliere tra l'andamento dei bilanci famigliari, le dinamiche “macro” dell'economia e l'evolversi del deficit del bilancio statale e del debito pubblico accumulato. Naturalmente, dichiarare che il panorama delle difficoltà di conduzione del ménage famigliare è un problema pubblico rilevante per un Paese che voglia imporre una sua rispettabilità sui mercati finanziari della “Globalizzazione”, è il primo passo per ricercare le “soluzioni nascoste” per la crisi. Studi e ricerche precedenti 2019, La deriva di esclusione sociale e povertà per debiti familiari in La povertà a Roma, un punto di vista, Rapporto sulla povertà, anno 2019, Caritas Roma 2019, Casa all’asta. La miseria del debitore, in “ItaliaCaritas”, numero 7, ottobre 2019 2018, Tra due grandi recessioni economiche. Il sovraindebitamento delle famiglie italiane nel decennio 2006-2016. Dimensioni, caratteristiche, proposte per il superamento, Consulta Nazionale Antiusura, Assisi, giugno 2018 2013, Il rischio usura per le imprese nella crisi attuale del Paese, Camera di Commercio di Roma (pp. 180) Giugno 2013 2012, Debito, bilancio economico deficitario, sovraindebitamento e rischio di ricorso all’usura. Una ricerca comparativa sulle regioni italiane, Consulta Nazionale Antiusura, Giugno 2012, 2011, Indebitamento patologico e usura tra le imprese e le famiglie produttrici, Camera di Commercio di Roma, Dicembre 201 2008, Famiglie italiane: bilanci in deficit, in “Il Regno”, Documenti, Edizioni Dehoniane, Bologna 2008, edizione a stampa della ricerca Sovraindebitamento delle famiglie nelle Regioni d’Italia. Proposte delle Fondazioni Antiusura. Debiti e deficit di bilancio delle famiglie. Dimensioni del rischio di usura, per Assemblea annuale della Consulta Nazionale Antiusura, Genova, 2008. 2005, L’usura nelle diverse province italiane, ricerca per la Consulta Nazionale Antiusura presentata al convegno “Dieci anni di solidarietà” (Roma, 22 novembre) pubblicata a stampa nel volume con lo stesso titolo 2004, Introduzione (e curatela) all’edizione italiana dell’opera di A. Warren & A. Warren Tyagi, The two-incombe trap, pubblicata per i tipi di Sapere 2000 – Roma con il titolo Ceti medi in trappola. Come salvare le famiglie dai debiti, dicembre 2004 2002, Inchiesta su Famiglia e usura, rapporto di ricerca presentato al Convegno “Famiglia, usura e sovraindebitamento. La Chiesa italiana si interroga”, Roma – 10-11 Aprile 2002 2000, Profili del fenomeno dell’usura in provincia di Foggia e nella situazione della Puglia, Adiconsum - Camera di Commercio di Foggia, dicembre 2000 1997, Il peso del mercato nero del denaro nei territori delle province, in La guida del consumatore, Adiconsum, settembre 1997 – edizione a stampa della ricerca 1997, Il peso dell'usura nelle 100 province italiane, per la Consulta Nazionale Antiusura e il “Cartello Insieme contro l’usura, luglio 1997, Roma 1994, Liberarsi dall'usura, (con L. Busà), (Editore Sapere 2000, Roma 1994)